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Ultima modifica: 1 Ottobre 2017

Discorso commemorazione m.llo Guazzelli

Guazzelli

di Salvatore Cardinale

Ringrazio il col. Mettifogo per avermi offerto l’opportunità di dedicare, in occasione del 25° anniversario della morte, un affettuoso pensiero alla memoria del m.llo Giuliano Guazzelli che io ho avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare.
Abbraccio affettuosamente la sig.ra Montalbano Guazzelli manifetandole ancora una volta la generale ammirazione per la tenacia con la quale tiene vivo il ricordo del marito.
Il 4 aprile 1992 cadeva, vittima di un’imboscata mafiosa, il m.llo maggiore Giuliano Guazzelli, per tutti gli amici semplicemente Giuliano, insignito alla memoria della medaglia d’oro al valore militare, una onorificenza creata “al fine di premiare atti di eccezionale coraggio che manifestino preclara virtù civica e per segnalarne gli autori come degni di pubblico onore”.
Egli era nato in terra di Toscana ma, trasferitosi per ragioni di servizio in Sicilia, ove nella nostra provincia a Menfi aveva messo su famiglia, si considerava più siciliano degli stessi nativi avendo amato e condiviso le bellezze, i valori positivi, la generosità che contraddistingue gli isolani ma anche prendendosi carico, senza riserve e con ammirevole impegno, delle bruttezze di questa martoriata terra, generate dalla mafia, per eliminare le quali egli si batteva quotidianamente e senza risparmio con il suo appassionato lavoro.
Avevo conosciuto il m.llo Guazzelli allorchè egli, trasferito, per ragioni di sicurezza personale, all’allora Gruppo provinciale dei Carabinieri di Agrigento, era stato assegnato, per dirigerla, alla Stazione di Palma Montechiaro, Stazione che necessitava della destinazione di un comandante dotato di grande intuito e di chiara capacità investigativa, idoneo a ricreare nell’ambiente cittadino un clima di fiducia verso lo Stato ed i suoi rappresentanti locali.
Era, per Palma di Montechiaro ma anche per altri paesi della provincia, un periodo particolarmente difficile a causa della presenza di agguerrite cosche mafiose, a volte, frazionate in gruppi tra loro in conflitto, di una palese commistione tra malavita e poteri locali e di situazioni socio- economiche che rendevano il cittadino diffidente verso lo Stato; in sintesi, a causa di un contesto contrassegnato da assassini, attentati, danneggiamenti, utilizzazione dei pubblici poteri per interessi privati.
Il primo contatto ufficiale tra noi due non si rivelava per me particolarmente appagante.
Ero andato a Palma di Montechiaro per un ennesimo episodio di sangue, i cui precisi contorni oggi non ricordo, e recatomi in Caserma, ero accolto dal nuovo comandante Guazzelli che mi illustrava lo stato delle indagini. Uscivo da quel colloquio commentando tra me e me negativamente, per ragioni che adesso non so spiegarmi (forse legate ai modi informali, anche nell’abbigliamento, che lo contraddistinguevano), l’esito dell’incontro che, sul momento, mi aveva dato l’impressione che a Palma di M. il cambio della dirigenza della Stazione si fosse rivelato l’ennesimo flop che in passato aveva contrassegnato l’avvicendarsi dei comandanti.
Ben presto dovevo ricredermi giacchè quel sottufficiale, sul quale ingiustificatamente avevo espresso riserve, si rivelava come uno dei migliori investigatori, per non dire il migliore, che il C.do Provinciale di Agrigento abbia mai avuto nella sua storia più recente.
Dotato di vivida intelligenza, di intuito investigativo finisssimo, di una capacità di analisi pronta e concreta, di una indiscussa idoneità a conquistarsi la fiducia dell’interlocutore, di una tenacia non comune nel perseguire gli obiettivi prefissati e di particolare intuizione nello scegliersi i migliori collaboratori, Giuliano Guazzelli, prima a Palma di M., poi nella sede provinciale del capoluogo e, infine, alla Squadra di P.G. della Procura della Repubblica di Agrigento, era presente in ogni attività investigativa che contava ed era un indispensabile collaboratore dell’Autorità Giudiziaria inquirente.
Tante sono state le indagini condotte dal m.llo Guazzelli. Gli scaffali della Procura della Repubblica sono pieni dei suoi rapporti nei quali, con adeguata forma stilistica, egli riferiva l’esito delle sue investigazioni.
Le sue relazioni erano complete, gli elementi raccolti erano illustrati attraverso una tecnica espositiva sobria ma incisiva, le sue conclusioni erano sorrette da una logica stringente e da una rigorosa analisi dei fatti. Per tali qualità, esse costituivano momenti fondamentali del fascicolo processuale.
Tra le più significative attività investigative che hanno visto protagonista il m.llo Guazzelli, mi piace qui ricordare il suo essenziale e decisivo contributo allo sviluppo delle indagini culminate nell’operazione c.d. “Santa Barbara” a carico di esponenti e gregari di “cosa nostra” della provincia di Agrigento, la prima vera attività investigativa che delineava un credibile spaccato di commistione tra mafia e pubblici poteri, riconosciuta degno di studio da parte di analisti del fenomeno mafioso.
Come è noto, le indagini originarie erano scaturite da un’irruzione compiuta dalla Squadra Mobile di Agrigento in un casolare del quartiere satellite di Villaseta ove si erano riuniti, apparentemente per un incontro conviviale, varie persone di diversa estrazione sociale tra i quali spiccavano due noti mafiosi di Ribera: i cugini Carmelo Colletti e Pietro Marotta.
Sul momento, i risultati di quell’irruzione si erano dimostrati deludenti ma, qualche tempo dopo, un’intuizione del m.llo Guazzelli dava la spinta decisiva al fascicolo processuale consentendo alle indagini, che fino a quel momento languivano, di imboccare la pista giusta.
Era accaduto che un commando mafioso aveva ucciso a Ribera il Colletti, personaggio di forte caratura mafiosa in provincia, indicato da più fonti come il “capo provincia”.
La notte stessa del fatto, il m.llo Guazzelli si recava nella casa dell’amante del boss ucciso e, assumendola a verbale, raccoglieva una lunga informazione che svelava fatti e contesti mafiosi veramente allarmanti.
Quella deposizione risultava preziosa per dare una spinta decisiva al procedimento e per raggiungere, attraverso una più penetrante e mirata attività investigativa condotta in collaborazione dalle tre forze di polizia presenti sul territorio, i risultati poi codificati dalle sentenze dei giudici. Per la prima volta negli uffici di procura sfilavano gli “intoccabili” : deputati nazionali e regionali, un ex ministro, un ex presidente di provincia, sindaci, imprenditori di livello internazionale, funzionari pubblici, tutti chiamati a fornire, in atti giudiziari ufficiali, spiegazioni e informazioni sui loro rapporti con personaggi legati alla malavita organizzata.
Il processo “Santa Barbara” genereva poi altri processi di non minore rilevanza celebrati anche davanti ad altre autorità giudiziarie, ad ulteriore comprova del valore investigativo del m.llo Guazzelli che di esso era stato l’anima.
L’anno 1990 era di grande dolore per il m.llo Guazzelli il quale rimaneva particolarmente colpito dall’assassinio del giudice Livatino consumato il 21 settembre di quell’anno, un magistrato con il quale egli aveva collaborato in molte indagini e verso il quale nutriva grande stima e un sincero affetto.
Il dolore per la barbara uccisione del magistrato diveniva stringente impegno per scoprire gli autori dell’omicidio, impegno che egli assolveva con la professionalità che lo contraddistingueva, grazie alla sua approfondita conoscenza di tutte le facce del crimine organizzato, compresa la nascente “stidda”.
Come era accaduto per il magistrato assassinato, anche il m.llo Guazzelli si attirava, per il suo dinamismo investigativo, l’attenzione della malavita organizzata, che lo trovava presente ed attivo in ogni indagine di mafia, e che lo faceva oggetto di un progetto omicidiario che si concretava il 4 aprile 1992 mentre egli, come era solito fare, era in viaggio con la sua vecchia automobile per rientrare a Menfi.
Ricordo ancora quell’autovettura crivellata di colpi, ferma sulla bretella di Villaseta, e la gran massa di fuoco che l’aveva attinta a dimostrazione che per abbattere quel bersaglio coloro che avevano progettato l’agguato erano consapevoli che non sarebbe bastato un solo uomo ma sarebbe stato necessario il coinvolgimento di più aggressori e l’uso di armi dotate di particolare capacità micidiale. In effetti, la magistratura accertava che erano stati utilizzati fucili mitragliatori e fucile a pompa per produrre un volume di fuoco devastante.
Sebbene fosse stata chiara fin dall’inizio la matrice mafiosa del delitto, le indagini si rilevavano complesse e per certi versi inizialmente inconducenti.
Dopo anni dal fatto, si otteneva una prima risposta giudiziaria, che riteneva implicati nell’omicidio affiliati di quella ”stidda” di Palma M. contro la quale il sottufficiale aveva in passato indagato; essa, però, a seguito di ulteriori acquisizione processuali, si rilevava errata.
Un secondo successivo filone di indagini, indirizzato questa volta verso”cosa nostra”, riusciva, invece, anche grazie al contributo di nuovi collaboratori di giustizia, a dare un volto ai mandanti e agli esecutori del delitto e a delineare una causale soddisfacente, legata anch’essa alla stringente attività investigativa del m.llo Guazzelli.
Il resto è storia e nella storia della lotta al crimine organizzato Giuliano Guazzelli occupa un posto di primo piano al pari di altre figure prestigiose che hanno contrassegnato l’azione di contrasto condotta dallo Stato alla mafia e al quel mondo perverso, fatto di collusioni, condivisioni, intrallazzi e indifferenza, che l’alimenta e la favorisce.
Vorrei concludere ricorrrendo ad un noto passo del libro di Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta” e alla ormai famosa suddivisione degli uomini in cinque categorie: gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i pigliainculo (con rispetto parlando diceva don Mariano autore della catalogazione) e i quaquaraquà. Quest’ultimi, infimi nella suddivisione degli umani, secondo il personaggio di Sciascia che ne è il teorico“dovrebbero vivere con le anatre nella pozzanghera chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”.
Giuliano Guazzelli, per la sua personalità e per il suo agire in pubblico e nel privato, era un “uomo” secondo la definizione sciasciana e tale è rimasto anche dopo la sua morte. E’ una dignità della quale i suoi assassini, pur togliendogli la vita, non l’hanno potuto privare.
I mandanti e i loro killer, invece, erano dei “quaraquaquà” e tali rimarranno in futuro (anche se, come qualcuno ha iniziato a fare, tenteranno – non so quanto sinceramente – di riabilitarsi attraverso pentimenti, pubblicizzate conversioni religiose, interviste, libri, componimenti poetici, lauree e titoli accademici) perchè chi ha vissuto da “quaquaraquà” e ha assimilato l’essenza di tale modo di essere, lo rimane per sempre.
E noi, ne sono sicuro, continueremo anche negli anni a venire a tifare per Giuliano Guazzelli perchè fu un vero “Uomo”.

Magistrato Salvatore Cardinale

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